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Autonomia – Uno spazio per il Tejo, uno spazio per la danza

ATA2019

L’architettura contemporanea è oggi caratterizzata da una miriade di soluzioni formali che non permettono di definirla con parametri certi. Avvalendosi di questa autonomia formale e data la grande libertà interpretativa della funzione della danza, il progetto va oltre la conformazione classica del teatro, per produrre sia uno spazio non convenzionale, strettamente dedicato e legato alla danza, che uno spazio pubblico alternativo.
Una ricerca autonoma che ripensa le relazioni tra gli elementi teatrali, quali palco e platea, per offrire un nuovo modo di vivere e percepire il teatro. Tutto è scena, tutti in scena.


Privilegio di Lisbona è essere a contatto con il fiume, opportunità progettuale è provare a ristabilire questo contatto in punta di piedi. L’individuazione dell’area di progetto parte dall’analisi delle aree in relazione al Tejo predisposte ad instaurare un rapporto di reciproca valorizzazione con l’edificio. Quest’ultimo deve trovare nel luogo la possibilità di proporre un’alternativa funzionale, risolvendo strategicamente anche un problema urbano per esaltare la relazione con il fiume. Lo spazio adiacente all’estuario, nella zona di Santos, è potenzialmente strategico in quanto gode di ottima visibilità da buona parte della città. Un sito che si presta al mettersi in mostra. Così, poggiato sul prolungamento del terreno in acqua, il teatro, liberato da quel vincolo visivo rappresentato dall’edificio industriale abbandonato, riporta in vita lo spazio adiacente al fiume. Lo fa in modo leggero e pesante allo stesso tempo. Un monolite che occupa il sito toccandolo in soli tre punti e lasciando viva, sotto di se, la relazione tra fiume e città. Spazio pubblico chiuso ma aperto allo stesso tempo. Punto di vista inedito, tra la sicurezza della copertura e l‘indecifrabilità del mondo esterno, il fiume. Uno spazio catalizzatore di emozioni. Uno spazio per il Tago. Così, come una ballerina di Botero che sfida le leggi della fisica, il teatro sfida i canoni dello spazio scenico. Spazio imponente, importante, sospeso. Spazio unico, autonomo, non convenzionale. Uno spazio per la danza.


Il monolite marca il punto di contatto con il fiume, lo definisce. Uno spazio coperto, pubblico e privato allo stesso tempo. Spazio per la città e foyer del teatro.Le connessioni visuali con il mondo esterno sono filtrare dalla sicurezza che il peso dell’edifico ci trasmette. Lo spazio al piano terra è caratterizzato dalla compressione e dilatazione della copertura in cemento. L’irregolarità della copertura permette di non omogenizzare lo spazio, ma di definire una moltitudine di spazi differenti sulla superficie dello spazio pubblico. La composizione architettonica di un teatro è ermetica. La progettazione di uno spazio per la danza è reinterpretabile. Se il pensare il teatro parte da composizioni e immagini predefinite, uno spazio per la danza non definisce linee guida da seguire, ma apre al confronto tra architettura e danza. La danza, applicabile a qualsiasi luogo, stimola il carattere autonomo dell’architettura. Uno spazio senza copione e senza trama, in cui ognuno possa agire autonomamente. La separazione tra attore e spettatore non esiste, non esistono prospettive privilegiate. Se l’impostazione classica del teatro limita la relazione fisica dei due ruoli, limitando così anche l’atto della danza, simbolo di movimento nello spazio, qui non c’è definizione o distinzione di ruoli, tutti sono immersi nell’esperienza della danza. Io sono l’attore, lo spettatore, il ballerino, l’architetto.



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Gabriele Paravati

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